Prisma a lenti per le strie
La parola al prof. Zantedeschi
Prisma a lenti per le strie
Selezione di testi tratti dalle opere dei docenti che hanno insegnato fisica nel XIX secolo presso l'Imperial Regio Convitto S. Caterina (antico nome del Foscarini). Per la ricerca di altri testi, consulta l'ARCHIVIO.

CAPO TERZO

DEI RUSULTAMENTI OTTENUTI DA UNA NUOVA ANALISI DELLO SPETTRO LUMINOSO

Immagine tratta da un'opera di ZantedeschiAllorchè si ha tutta l'attenzione di avere uno spettro purissimo, allorchè la divergenza e la larghezza del fascetto incidente sono le più piccole che sia possibile, allorchè il prisma è perfetto e lo spettro assai allungato per sottoporlo ad un esame rigoroso in tutte le sue parti, si osservano nuovi fenomeni, che la prima volta furono pubblicati dal sig. dottor Wollaston nelle Transazioni Filosofiche del 1802. Furon dessi esaminati di nuovo in tutti i loro particolari con una sottigliezza scrupolosissima, propria di un ingegno eminente assistito da istrumenti i più perfetti, dal celebre Fraunhofer. [...]

Tale era lo stato della scienza, allorchè io mi diedi, nel 1846, allo studio di sì delicatissimi e interessantissimi fenomeni [...]. Io descriverò impertanto l'apparato del quale feci uso, i risultamenti ai quali pervenni [...]

L'apparato è semplicissimo. Consiste in un porta-luce munito di uno specchio bianco, di una fenditura rettilinea verticale dell'altezza di 0m,045, che a piacere può essere allargata e ristretta; di un prisma di flint purissimo, equilatero del lato di 0m,031, e dell'altezza di 0m,07, collocato coll'asse normale all'orizzonte; il sostegno del prisma, porta una buona lente convessa della distanza focale di 2m, 06, che si dispone innanzi al raggio rifratto dal prisma in modo, da aversi lo spettro projettato sur un piano bianco il più chiaro e distinto. La distanza della lente dall'asse del prisma è di 0m,045; e la sua apertura è di 0m,055. la disposizione di tutte queste parti è rappresentata dalla figura 3 della tavola I. Io mi feci da prima a ripetere gli esperimenti di Wollaston e di Fraunhofer: e non durai molta fatica a projettare le linee trasversali alla lunghezza dello spettro solare in un modo il più chiaro e distinto. [...]

Nei tre mesi ch'io ebbi a sperimentare, cioè Luglio, Agosto e Settembre del 1846, non potei mai, nelle migliaia di prove che io feci, ottenere l'identico sistema di linee nere e luminose; soltanto nei giorni più sereni e tranquilli io m'ebbi sistemi costanti per un intervallo da quattro a cinque ore. Spesso ho pure sperimentato dalle ore undici antimeridiane alle quattro pomeridiane; e nei giorni di atmosfera variata, dalle dodici alle tre pomeridiane. [...]

Portata l'attenzione fuori dei limiti dello spettro ordinario nella direzione della sua ampiezza, ho riscontrato estendersi sotto e sopra le zone prismatiche di una tinta assai sbiadita [...]. Queste due zone [...] denominerò spettri secondarii inferiore e superiore. [...] Queste esperienze, il 24 Agosto 1846 io le ripeteva alla presenza dei signori dottore Bologna [...] e del R. P. Del Pozzo barnabita, professore di fisica a Parma; e il 26 susseguente, le ebbi a verificare al rispettabile mio amico e collega Ab, Natale Concina, esimio professore di filosofia nell'I. R. Liceo di Venezia.[...]

[...] l'esistenza degli spettri secondari [...] venne da me scoperta disponendo l'occhio a questo modo. Nell'ampia sala di fisica dell'I. R. Liceo di Venezia della lunghezza di 20 metri e più, procurai una oscurità la più perfetta, convertendola in una camera oscura. Da una sottilissima apertura rettilinea verticale faceva entrare il raggio luminoso solare, il quale, decomposto dal prisma di flint, si perdeva disperso nella profondità di questa sala. Facendo cadere lo spettro solare sopra ad un telaretto di carta bianca collocato in una posizione verticale, appariva projettato orizzontalmente. Verificata la projezione dello spettro, mi rimasi per un quarto d'ora nel bujo e il mio occhio era divenuto sensibile al raggio più tenue di luce [...].

Francesco Zantedeschi, Ricerche fisico-chimico-fisiologiche sulla Luce, Venezia, G. Antonelli, 1846, pagg. 48, 206-207, 210, 213-214.