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Supporto teorico | |
Funzionamento dell'elettroforo |
Nel XVIII secolo lo studio dei gas (o delle "arie", come si indicavano tali indagini) rappresentava uno dei settori di frontiera sia per la chimica che per la fisica e Alessandro Volta vi rivolse l'attenzione a partire dal 1774. Egli scoprì il metano (che chiamò "aria infiammabile nativa delle paludi") e negli anni seguenti perfezionò un apparato, l'eudiomentro, per determinare il contenuto d'ossigeno ("aria deflogistica") nell'aria atmosferica e nelle miscele gassose artificiali.
Per far funzionare un eudiomentro era necessaria una macchina elettrica. Nel 1775 Volta ne inventò una molto semplice basata sull'induzione elettrostatica: l'elettroforo. Gli elementi costituenti del modello originale erano un disco di resina ospitato su un supporto di legno e un disco di legno ricoperto con una foglia di stagno con manico isolante di vetro. Modelli successivi e più resistenti adottavano contenitori metallici per ospitare la resina e dischi interamente metallici sempre con manico fatto di isolante.
Il funzionamento risente dalla presenza di umidità, cosicché si procedeva a riscaldare dolcemente sia la resina che il disco conduttore. Lo strofinio caricava poi negativamente la resina. Avvicinando il disco con manico isolato, si induceva sulla faccia inferiore una carica positiva e su quella superiore una carica negativa. Toccando con un dito la faccia superiore del disco o con un qualsiasi elemento conduttore collegato a terra, si trasferiva tale carica negativa al suolo. In questo modo il disco, staccato e tenuto per il manico isolante, risultava caricato positivamente e utilizzabile per caricare apparecchi che lavoravano in ambito elettrostatico.
E' importante osservare che è il fenomeno dell'induzione a "scindere il fluido elettrico" del conduttore, per usare un modo di dire dell'epoca. Le cariche negative sulla resina restano sempre sulla sua superficie. Ciò faceva sì che la resina restasse elettrizzata e quindi che il disco potesse essere caricato parecchie volte, a patto di ricordarsi di scaricare a terra la sua superficie superiore. Inoltre, i bordi arrotondati del disco conduttore avevano lo scopo di minimizzare la dispersione di carica elettrica, favorita proprio dai bordi acuminati (effetto delle punte, Arganetto elettrico).
Il duraturo funzionamento di un elettroforo produsse notevoli imbarazzi tra gli scienziati, dal momento che essi non erano in grado di spiegare da dove provenisse tutta questa elettricità che sembrava prodursi dal nulla in modo infinito, da cui il nome dello strumento, che vuol dire "portatore di elettricità" (praticamente infinita). L'inventore di un simile dispositivo (per altro assai meno ingombrante della Macchina di Ramsden) divenne famoso in tutta Europa, ancor prima di passare alla storia come il padre della pila (Vecchie pile a colonna), scoperta che ebbe in seguito una considerevole evoluzione.
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