onde - ottica
Camera fotografica per dagherrotipi
SCHEDA TECNICA
INVENTARISTATO
Una camera oscura ad uso di daguerrotipo con lente acromatica e supporto a 3 piedi snodati
Camera fotografica completa
Camera fotografica completa
Camera fotografica per dagherrotipi
1818Nº //
1838561
P.A.Nº //
1870177
1925b58
2016722
Completo
Integro
Funzionante P
Dimensioni
MATERIALI: ottone, legno, vetro, lacca
BIBLIOGRAFIA & PRESTITI
DATABASE
Datazione: 1841 - 1842
Nel Museo A. M. Traversi - In sala
Descrizione          Funzionamento: spiegazione - verifica          Testi&Curiosità


Immagine, Malfi, © D 2016
Fonti
Bouchardat A. (1851) pag. 466, fig. 217
Daguin P. A. (1863) pag. 695, fig. 736
Drion Ch. - Fernet E. (1877) pag. 725, fig. 670
Felice M. (1887/90) Vol. 3, pag. 290, fig. 159
Ganot A. (1861) pag. 357, fig. 334
Ganot A. (1883) pag. 445, fig. 488
Giordano G. (1862) Vol. 2, pag. 298, fig. 268
Milani G. (1869) Vol. 7, pag. 181, fig. 103
Murani O. (1906) Vol. 2, pag. 126, fig. 116
Privat Deschanel A. (1890) pag. 836, fig. 761
Privat Deschanel A. - Pichot (1871) pag. 736, fig. 717
Sella G. V. (1863) pag. 137, fig. 34
 

Lo strumento consentiva la realizzazione di dagherrotipi secondo due formati. Si tratta di una macchina evidentemente legata alla storia della fotografia, preziosa testimonianza della velocità con cui le nuove applicazioni della scienza entravano nella didattica e nell'attività di ricerca dei docenti. Louis Jacques Daguerre (1787-1851) rese noto il primo procedimento realisticamente sfruttabile nel 1839, appena due anni prima la costruzione dello strumento. Il dispositivo è incompleto perchè manca il perno di collegamento tra la camera e il treppiede.

Francesco Zantedeschi, professore al S. Catarina dal 1838 al 1849, si occupò anche di fotografia, nel caso specifico di dagherrotipia. Il professore non perse tempo nel cercare di dotare il gabinetto di fisica di una macchina per dagherrotipi, tuttavia nel 1840 l'acquisto gli venne rifiutato (M. Tinazzi, The contribution of Francesco Zantedeschi at the development of the experimental laboratory of Physics Faculty of the Padua University, Atti del XIX Congresso nazionale di storia della fisica e dell'astronomia, 1999).

Ciò che forse non è noto e che in qualche modo lo Zantedeschi la ebbe vinta, visto che nell'Inventario del 1838 figura inventariata nell'anno scolastico 1841/42 Una camera oscura ad uso di Daguerrotipo con lente acromatica e supporto a tre piedi snodati. E la prima voce del anno seguente riporta: Oggetti ad uso del Daguerrotipo, cioè mercurizzatore, cassetta, nº 2 vaschette, cassetta con bottiglie pei reagenti chimici, pelle lamine, e pel cotone. Se il corredo di tale apparecchio fotografico è andato perduto, fatto singolare è che invece la macchina per dagherrotipi esista ancora, per di più in ottimo stato di conservazione. Essa è stata oggetto di ricerca da parte di due studiosi specializzati in storia della fotografia.

In estrema sintesi un dagherrotipo si otteneva nel modo che segue. Una lastra di rame ricoperta d'argento veniva sottoposta all'azione dei vapori di iodio. Lo strato d'argento, reagendo con lo iodio, formava lo ioduro d'argento, sensibile alla luce. Per la messa a fuoco del soggetto, se ne proiettava l'immagine su una lastra dal vetro smerigliato posta sul fondo della camera oscura. Quindi si agiva sul meccanismo a cremagliera dell'obiettivo, dotato di un doppietto acromatico. Dopodichè, con il coperchio sull'obiettivo, al telaio con la lastra smerigliata si sostituiva quello con la lastra trattata. A questo punto la macchina era pronta per la posa.

Togliendo il coperchio, la lastra veniva esposta alla luce proveniente dall'obiettivo della camera oscura e impressionata. Per fissare l'immagine si sottoponeva la lastra così esposta all'azione dei vapori di mercurio che "si depositano su quei punti della lamina iodurata che avevano subita l'influenza della luce, lasciando incolumi tutti gli altri punti della lamina. L'immagine appare allora con una chiarezza e nitidezza straordinaria" (Besso, 1875, parte III, pag. 6). L'asportazione dello ioduro d'argento in eccesso avveniva immergendo la lastra "in una soluzione di iposolfito di sodio; questa sostanza ha la proprietà di sciogliere l'ioduro d'argento non modificato dalla luce" (ibidem, pag. 8).